La sveglia suona alle 4:30, oggi non posso posporre quelle otto/dieci volte buone come nei giorni normali, ma alzarmi, al contrario di sempre, non mi risulta troppo faticoso. Uso poco tempo per preparare me, il resto era quasi tutto pronto.
Le previsioni parlavano chiaro, intorno alle 12:00, nel bel mezzo del trekking sarebbe iniziato a piovere e non potevamo permetterci nessun passo falso.
Questa volta eravamo un folto gruppo, 26 in tutto, ma con un po’ di fantasia e grande esperienza nel tetris siamo riusciti a parcheggiare i nostri mezzi nello spiazzo dedicato alla partenza del trekking.
Siamo a Siniscola il tempo è ancora clemente, anzi i raggi del sole ci scaldano sulla breve salita iniziale.
La prima sosta flash è per toglierci qualche strato di vestiti di dosso e bere dell’acqua freschissima che sgorga da una fontanella incorniciata da pietra.
Un tornante boscoso ci accompagna ai piedi della salita che ci porterà sul dorso del Montalbo.
Pian piano la terra soffice si fa calcare chiaro e nel cammino qualche corbezzolo ci regala i suoi scarlatti frutti maturi.
Non ci sono più tronchi alti a segnare l’orizzonte, ma tutto ora si apre senza interruzioni.
La salita, ci mette a sinistra la distesa blu del mare di Tavolara, il promontorio di Capo Figari, Posada e il suo favoloso castello, e la Caletta. Sulla destra il verde, la montagna di Tepilora, monte Nieddu, Padru e Lodè.
L’aria mescolava il profumo della brezza del mare a quello umido della montagna.
Proseguiamo su una salita che fa aumentare leggermente il battito cardiaco, ma con qualche pausa per respirare a pieni polmoni si risolve facile.
Arriviamo ai piedi di una scala fatta di bianchi gradoni calcarei, in cima stanno delle capre indaffarate nello svolgimento delle loro faccende quotidiane, qualcuna sentendoci arrivare alza la testa dal pasto per osservarci, ci guarda, ributta il muso sulla sua colazione.
Il grigio del mare calmo di novembre si fonde con il plumbeo del cielo che ci promette acqua ma senza cattiveria.
Nel cammino vediamo la lattuga del Montalbo, vegetale endemico che caratterizza la particolare flora di tutto il monte. Le scale ci portano al piano che sembra una valle lunare di lattei sassi ma terra e arbusti quanto basta per ricordarci che qui l’ossigeno c’è, e si sente.
Trovo un terrazzino di roccia, mi accomodo su una poltrona di pietra che mi lascia le gambe a penzoloni e vedo, sotto il tavolo di Montalbo, un tappeto d’erba dal manto fitto, accanto un pouf arancio di cava calcarea, tutto quanto poggiato sul pavimento ceruleo d’acqua.
Sulla destra, un balcone naturale con vista su tutta l’alta Baronia.
L’agente dice che non riesce a stimare il prezzo dell’immobile.
Le prime gocce d’acqua ci sfiorano il tratto di pelle che solitamente rimane scoperto tra la manica del giubbotto e i guanti, mettiamo agli zaini la copertura impermeabile e proseguiamo.
Tra buche scavate dai cinghiali e bassi arbusti, il sentiero ci porta su una distesa di terra spalmata sulla spina dorsale del monte.
Due perastri soli e vicini cresciuti sulla distesa di terra morbida in mezzo alla piana pietrosa mi ricordano quanto la vita ci provi ogni volta e quanto spesso, nonostante tutto, ci riesca.
Marco abbraccia quello grande, un po’ per gioco, un po’ per amore.
Adesso inizia a piovigginare, il percorso è in discesa.
Le pietre richiedono massiccia attenzione ad ogni passo, la pioggia rende tutto viscido, a tratti si scivola, ma come sempre si attutisce il colpo e ci si rialza.
Procediamo verso il basso in un sentiero a tornante, rimango indietro e più in alto rispetto agli altri, osservo la fila che formano e mi appaiono come un trenino fatto di vagoncini colorati che cammina svelto verso la valle, mi immagino le nuvole impalpabili sulle loro teste come fossero il vapore bianco diffuso dal trenino in corsa, mi manca solo di sentire il classico “ciuf ciuf”, al suo posto campanacci e risa.
La pioggia è caduta per tutta la discesa, ma ci ha giusto tenuto compagnia senza mai diventare invadente.
Per il pranzo abbiamo trovato riparo in due pinnetus nella vallata, in quello dove capito io ci stringiamo per farci spazio in modo da stare tutti comodi, mi godo la compagnia dei miei colleghi di trekking, tra vari scambi di cibo, bevande calde o fredde, cioccolata, dolci, polli arrosto, un gruppo di amiche che si conoscono da tempo ci intrattiene con dei racconti divertenti, hanno sintonia, feeling e contenuti, tali da superare anche i migliori umoristi sul mercato, rido fino alle lacrime.
Dopo il caffè che Checco prepara per tutti ci bardiamo bene con gli impermeabili per proseguire il percorso.
La pioggia nel frattempo ha aumentato l’intensità, inizia a tirare un vento gelato che mi colpisce subito le mani nude, le affondo nelle tasche e proseguo.
Adesso siamo sotto il monte, per l’occasione vestito con una lunga gonna di nuvole, è elegantissimo e affascinante.
Il suono delle gocce di pioggia sul cappuccio fa compagnia ai pensieri.
Ho le mani calde.
Il percorso del trekking qui è semplice, c’è tutto il tempo per parlare, scherzare, fare due passi di ballo sardo in corsa con la musica intonata a voce e il ritmo dato dal battere di mani e risate.
Proseguiamo per il bosco e ai lati del sentiero vediamo quasi i funghi spuntare sotto i nostri occhi.
Mancano pochi chilometri alla fine, il cielo piove presente e costante. Non mi era mai capitato prima di fare un trekking sotto la pioggia qui in Sardegna, sotto un’acqua assidua ma gentile. Ne avevo fatto esperienza solo una volta in Norvegia, dove piove più sempre che spesso, è una condizione di normalità, si cammina sotto l’acqua tanto quanto e come quando è sereno.
Gli odori della terra bagnata, le pietre grondanti lavate dallo scorrere dei ruscelli del cielo, le gocce che scivolano sulle foglie degli alberi, a volte qualcuna che resiste attaccata alle piccole verdi lamine, fino a che non arrivano altre liquide sorelline a mandarle via e a prendere il loro posto. Il ticchettio dell’acqua sugli indumenti che la scacciano, e io lì a camminare avvolta dalle nubi basse, accarezzando la pioggia e camminando a ritmo con il suo cadere.
Mi sento fortunata a vivere uno scenario per me così insolito qui, nella mia isola.
Secondo la mia abitudine avrei pensato pioggia uguale giornata passata sotto un tetto qualsiasi a vivere malinconicamente la mancanza del sole. Oggi piove, ma di malinconia non c’è l’ombra.
Arriviamo alle macchine, come sempre abbiamo indumenti puliti e asciutti ad aspettarci, ho solo le tibie leggermente umide, per il resto penso che in città durante una giornata di pioggia, solo per scendere dall’auto e raggiungere l’ingresso del supermercato senza ombrello, con un abbigliamento normale, mi sarei sicuramente bagnata in modo fastidioso.
Mi viene in mente quel detto popolare che recita “non esiste il cattivo tempo, esistono solo gli abiti sbagliati”, penso che (escludendo uragani, tsunami, e catastrofi varie), non avevo mai dato troppo peso a queste parole, finché non mi sono soffermata sulla differenza di uno stesso paesaggio in condizioni climatiche diverse, e quanto valga la pena di essere vissuto. Come si possa godere dello stesso posto mutato in profumi, colori, panorami regalati da semplici accadimenti stagionali tipici, solo con gli abiti giusti e un leggero coraggio.
Fatte le pippe mentali, possiamo accendere i motori per dirigerci verso Siniscola a casa di Claudio e Bea, produttori locali di pompìa e assaggiare le prelibatezze che producono.
Ci propongono una merenda mistica, con marmellata dell’acerbo frutto, abbinata a casu marzu, salsiccia, pani carasau, vino e per finire liquore, ovviamente di pompìa. Claudio ci racconta quello che è il suo lavoro e l’interessante storia del recupero del tipico frutto siniscolese. È un ragazzone sorridente e dai riguardi che ha per noi sembra che ci conosca da quando eravamo piccolini.
Si è fatto buio e per noi trekkers si sta facendo ora di andare, ci salutiamo tutti e ci dividiamo nei vari mezzi che ci hanno portato fin lì.
Nel van in cui sono io, becchiamo una playlist che ci mette tutti d’accordo: Litfiba a palla e si canta a squarciagola fino al punto d’incontro.
La pioggia è stata forte e incessante per tutto il tempo.
Ci stavamo divertendo è vero, ma una volta arrivati ad una fila pazzesca a causa di lavori sulla strada che ci hanno rallentato notevolmente, con la pioggia scrosciante sulle auto e sull’asfalto di fuori, i clacson impazziti degli automobilisti con i nervi a fior di pelle, le moleste luci rosse degli stop a intermittenza, fare due metri ogni cinque minuti, benché al caldo e al riparo dall’acqua, senza che ci sia stato bisogno di dircelo, sento che il pensiero di tutti noi sia tornato, svelto e nostalgico all’umido trekking di qualche ora prima.
Anche oggi torno a casa con lo zaino più vuoto di quando sono partita, più leggera, ma mi sembra comunque di aver portato tante cose con me.